Trasferirsi lontano dalla famiglia e vivere lontano da moglie [o marito] e figli è una realtà per molte persone che si allontanano per lavoro.
Dai colloqui psicologici online con le persone lontane da casa emerge che la vita all’estero [Australia, Cina o Giappone che sia] è una sfida stimolante ma è anche una condizione che sbilancia tutta la famiglia.
Se il coniuge che si allontana e va a vivere all’estero per lavoro, da una parte, si arricchisce con le nuove esperienze, dall’altra, può trovarsi psicologicamente in difficoltà. Vivere da soli all’estero infatti può fare sentire solitudine, ansia e tristezza, comuni emozioni dello shock culturale, talvolta scambiate per sintomi di depressione.
Vari fattori contribuiscono alla decisione di trasferirsi all’estero per lavoro. Prima di decidere è utile valutare vantaggi e svantaggi dell’allontanarsi da casa. Una maggiore consapevolezza delle difficoltà che si potrebbero incontrare permetterà alla persona di superare meglio lo shock culturale e di adattarsi prima alla vita nella nuova città.
Fare questo lavoro in coppia aiuterà anche a rendere i partner più consapevoli dei cambiamenti che riguarderanno la famiglia e a mantenere un’armonia tra loro.
PRO:
Torno più sicuro, più forte, più competitivo e so vendermi meglio nel lavoro
CONTRO:
Il partner che resta deve fare fronte da solo a quello che prima era diviso in due, ad esempio:
Ai figli, a seconda dell’età, possono essere affidate alcune responsabilità e possono occuparsi di piccoli compiti che aiutino a portare avanti la gestione della quotidianità:
Il partener che resta in Italia farebbe bene a coltivare un hobby o praticare un’attività sportiva o culturale. In tal modo dedica tempo a se’ stesso, così da non essere esclusivamente assorbito dalla gestione della casa e della famiglia.
Il maggiore benessere dato proprio dal concedersi qualche momento per se’ sarà invece vantaggioso per tutta la famiglia.
In questo caso i partner vedranno la distanza come un’opportunità di crescita personale, di coppia e familiare. Si sosterranno emotivamente e si daranno suggerimenti pratici reciproci.
A tal fine è opportuno che abbiano entrambi un atteggiamento ottimista, costruttivo e propositivo.
Lo squilibrio nel carico di responsabilità di chi è rimasto a casa e la solitudine di chi vive all’estero sono particolarmente intensi e crescono con il passare del tempo.
I due partner, superata una fase di sconforto e ostilità reciproca vi si adattano, ognuno a seconda della propria indole.
La persona che è all’estero [spesso il marito], per superare lo shock culturale e inserirsi nel contesto del nuovo Paese, deve impegnarsi a frequentare le persone del posto in cui vive, cercando di adeguarsi ad abitudini, ritmi e stili di vita del paese estero, che si trovi a Tokyo, a Sydney o a Pechino.
Questo può alimentare gelosia e incomprensioni tra l’italiano espatriato all’estero e la moglie che è rimasta a gestire casa e figli.
D’altra parte la persona [spesso la moglie] che è rimasta in Italia a casa con i figli trova a sua volta nuovi equilibri e nuove routine per superare la mancanza del partner.
Questo può alimentare il senso di inutilità, di impotenza e di solitudine di chi si è trasferito all’estero per lavoro.
In questi casi è più che mai importante la buona qualità della comunicazione tra i coniugi.
E’ importante che i due sappiano riconoscere quali sono gli argomenti che è opportuno discutere e quelli che sono superflui, perché, ad esempio, porterebbero soltanto a sterili discussioni. In questo caso è meglio lasciar correre.
Allontanarsi dalla famiglia per andare all’estero per lavoro può dipendere dalla necessità di
• avere un lavoro che in Italia non si trova
• andare in avanscoperta e preparare le condizioni perché l’intera famiglia si trasferisca all’estero
• avere guadagni migliori rispetto all’Italia e garantire alla famiglia rimasta in Italia un miglior tenore di vita
Da questo punto di vista trasferirsi all’estero per lavorare è una scelta responsabile nei confronti della famiglia.
Talvolta tuttavia, anche in un secondo tempo rispetto al trasferimento all’estero, l’italiano che è andato a vivere da solo all’estero è accusato di egoismo dal partner o da altri familiari. Si sente dire che ha pensato solo a se stesso, che ha messo la carriera davanti a tutto che si è dimenticato della famiglia rimasta in Italia, fino all’accusa di essere irresponsabile nei confronti di chi è rimasto a casa o è costretto a seguirlo all’estero.
Così si crea un paradosso: chi si è trasferito all’estero per senso di responsabilità nei confronti della famiglia e ha vissuto la solitudine, superato lo shock culturale e sofferto di nostalgia per la lontananza da casa, è considerato dai familiari un egoista irresponsabile.
Dall’altra parte è anche vero che chi si è trasferito all’estero a volte lo ha fatto anche per la voglia di evasione dalla routine quotidiana, dal richiamo di affrontare una sfida nella vita lontano da casa o per il desiderio di sentirsi appagato come colui che si sacrifica per la famiglia.
Una persona mi aveva raccontato di essere elettrizzato all’idea di trasferirsi. Aveva usato queste parole:
Volevo mettermi in gioco, lontano da tutto e da tutti, con le mie sole forze, conoscendo solo qualche parola di inglese
Il desiderio di autorealizzazione coesiste con l’esigenza concreta di un miglioramento professionale o economico e contribuiscono a prendere la decisione di trasferirsi all’estero.
La lontananza dalla quotidianità con i suoi piccoli e grandi problemi da risolvere, le difficoltà nella comunicazione [anche a causa del fuso orario], la necessità di integrarsi nella realtà socioculturale del paese in cui si vive [Australia, Cina, Giappone, o altro] contribuiscono a fare sentire più lontani i membri della famiglia che, poco a poco, hanno la sensazione di non conoscersi più, di essere estranei. Ci si stupisce delle abitudini diverse o del fatto che la famiglia rimasta in Italia abbia trovato ritmi e modi di vivere diversi dai precedenti.
Nella coppia si insinua la gelosia, la sensazione di non essere compresi, di essere soli.
Per superare momenti difficili come questi occorre che i partner ritrovino una buona comunicazione. Lo psicologo, tramite il counseling online, può aiutare l’uno e l’altra a comprendere il rispettivo punto di vista e a ritrovare armonia ed equilibrio nella coppia, nonostante la distanza.
Che tu sia da solo in Australia [Melbourne, Sydney o Brisbane o in altre città down town], Giappone [che sia Tokyo o Kyoto o un altro luogo del Sol Levante], Cina [Pechino o Shangai] o Tailandia, ti sarai domandato tante volte: “Questa è la mia strada? Che cosa voglio veramente? Cosa devo fare?”
Dopo tanti anni un’esperienza all’estero si trasforma in una scelta di vita che è più difficile da modificare. Con il tempo ci si radica: i rapporti sociali diventano più profondi e, se si è trasferito l’intero nucleo familiare, ogni persona ha un motivo per cui tornare in Italia ed altri motivi per restare all’estero.
Ci si trova nella condizione di avere molto da perdere se si torna, mentre, allo stesso, tempo, il cuore spingerebbe a rimettere piede in Italia.
Adesso c’è la paura di tornare. C’è la paura di perdere quello che si è duramente guadagnato e conquistato, a prezzo di sacrifici affettivi ed emotivi. C’è la paura di tronare in Italia e restare delusi, traditi da un paese che si ama ma da cui già una volta ci si è allontanati.
Qualcuno è spaventato nel vedere i vecchi emigranti, con il mal d’Italia negli occhi e gli occhi lucidi al pensiero di quanto hanno perso [o credono di avere perso] stando lontani dall’Italia.
Con il passare del tempo scorrono anche le stagioni della vita e può emergere il desiderio di far crescere i propri figli vicino ai nonni. Questo può essere un altro motivo per valutare il rientro della famiglia in Italia.
Spesso c’è il desiderio di tornare alle proprie radici e ritrovare la propria identità. Talvolta le persone che hanno lasciato l’Italia e si sono trasferite all’estero riferiscono:
Sei inserito, integrato, ma non sei di lì
Nella mia esperienza di counseling psicologico online la sensazione di non sentirsi pienamente inseriti nel contesto socioculturale è indipendente dal Paese in cui si è trasferiti. La sensazione di non essere mai a casa o di essere fuori posto si può avvertire in una città australiana [Melbourne, Sydney, Brisbane, ad esempio], così come a Pechino o a Tokyo o in altri posti del mondo, sebbene usi e costumi siano in qualche caso più simili a quelli italiani e in altri molto diversi.
Una persona, da Pechino, mi ha detto:
Si parte con la ragione ma non con il cuore. Per me si resta senza amore, si resta immigrati, ci si integra ma siamo sempre emigranti.
In linea di massima la valutazione da tenere presente è che finché l’esperienza arricchisce è meglio restare, se non è più così è preferibile tornare in Italia.
A lungo andare, infatti potrebbe subentrare la frustrazione per una vita non più soddisfacente che, unita alla nostalgia per l’Italia e al rimpianto [talvolta frutto di idealizzazione] per quello che si è lasciato in Italia possono rattristare molto la persona e portarla all’isolamento, anche a distanza di tempo dal trasferimento all’estero.
Skype e internet vengono in aiuto (essere presenti nei momenti di vita quotidiana: non solo sentirsi per parlare ma sentirsi per fare (pranzare insieme, per conoscere i gusti dei figli e le abitudini, per mantenere un dialogo quotidiano basato sul fare e sulla condivisione delle esperienze)
Una mia paziente il cui padre si è trasferito lontano dalla famiglia per lavoro mi diceva di non conoscerlo più, di non sapere più quali sono le sue abitudini. Ricordava che faceva la colazione con caffè, latte e biscotti e dopo qualche tempo dal suo trasferimento all’estero lo ha scoperto preferire prosciutto, formaggio e caffè.
Vivere lontano dal partner porta entrambi i partner a cavarsela da soli e a diventare consapevoli di questo.
Si scopre che l’altro non è indispensabile.
Questo, a dispetto di quello che si potrebbe pensare inizialmente, è tuttavia un aspetto positivo poiché significa che il legame con il compagno [o la compagna] non è basato sulla soddisfazione di un bisogno e sul compensare una mancanza ma è basato sul fatto che l’unione fa sentire più ricchi e completi, che l’altro ci offre qualcosa in più.