Risvolti psicologici del soccorso speleologico nella grotta Tham Luang, in Thailandia

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La pressione psicologica sugli speleologi e sugli speleosub impegnati nel soccorso dei ragazzi intrappolati in una grotta in Thailandia, nel giugno-luglio del 2018, è stata enorme.

Gli speleologi e gli speleosub, infatti, hanno dovuto superare, non soltanto la complessità di un salvataggio senza precedenti, ma anche gestire lo stress psicologico della situazione.

Pressione psicologica sugli speleosub e sugli speleologi soccorritori

La macchina dei soccorsi ha coinvolto migliaia di persone che generosamente hanno aiutato, anche a rischio della propria vita.

C’è stata una mobilitazione internazionale per aiutare nelle operazioni di soccorso tra cui: Navy Seals, speleosub inglesi e australiani, speleologi di varie nazionalità.

Il Paese intero si è mobilitato per fornire supporto logistico (anche per la preparazione dei pasti o per lavare gli indumenti dei soccorritori).

Sui soccorritori gravava la responsabilità di salvare le dodici giovani vite dei ragazzi di una squadra di calcio e del loro allenatore in una grotta allagatasi a causa delle piogge monsoniche. I soccorritori hanno dovuto ideare e attuare soluzioni tecniche e logistiche mai impiegate prima, sotto gli occhi del mondo. Pertanto, gli speleosub hanno dovuto gestire la tensione psicologica soprattutto in alcune delle fasi più delicate del salvataggio, quando accompagnavano i ragazzi, uno alla volta, immersi nell’acqua senza nessuna visibilità, utilizzando le bombole e  seguendo una corda che li portava in direzione dell’uscita.

La consapevolezza dell’attenzione mondiale nei confronti del salvataggio stesso è stato un ulteriore elemento che speleosub e speleologi hanno dovuto gestire a livello psicologico.

Situazione psicologica dei ragazzi bloccati nella grotta thailandese

I ragazzi stessi, di età compresa tra i 12 e i 16 anni, hanno dovuto gestire una condizione difficile che avrebbe potuto avere gravi conseguenze, anche sul piano psicologico.

Intrappolati dall’acqua nella grotta, al buio, senza sapere ne’ se ne’ quando sarebbero stati salvati, hanno dovuto affrontare l’isolamento dalle famiglie e dal mondo, senza cibo, potendo soltanto bere l’acqua presente in grotta, per oltre due settimane.

Tutti hanno corso il rischio di morire.

La vicenda si sarebbe potuta trasformare in una tragedia.

Consapevoli della situazione, i ragazzi hanno anche cercato un’altra via d’uscita, anche scavando. Per due settimane hanno mantenuto la speranza di essere salvati e di uscire dalla grotta. Sono rimasti attivi, anche giocando. Guidati dal loro allenatore hanno anche praticato la meditazione.

La ricerca dei ragazzi in grotta

Gli speleologi soccorritori hanno esplorato diverse zone della grotta prima di trovare i ragazzi. Per raggiungerli, oltre agli speleologi, è stato necessario anche il contributo di speleosub (speleologi con competenze subacquee) e Navy Seal che potessero affrontare le zone della grotta allagate e sommerse dall’acqua.

Questi soccorritori, oltre ad avere competenze tecniche speleologiche e subacquee, hanno la conoscenza e la consapevolezza dei rischi presenti e sono psicologicamente pronti a gestire la paura e le altre emozioni che si vivono di fronte a simili pericoli.

Purtroppo la morte di uno dei soccorritori ha rimarcato quale fosse la pericolosità della situazione.

All’esterno della grotta centinaia di speleologi cercavano un altro ingresso alla grotta nel tentativo di raggiungere i ragazzi prima dell’arrivo di altre piogge monsoniche.

Sono state installate pompe per estrarre acqua dalla grotta. La popolazione locale ha partecipato al salvataggio con generosità togliendo, tra l’altro, alcune pompe dai campi coltivati perché i soccorritori le utilizzassero, lasciando che i campi e il raccolto venissero allagati.

Il ritrovamento: l’emozione dei ragazzi e dei genitori

Nonostante la lunga prigionia in grotta, i ragazzi della squadra di calcio, seppur dimagriti, sono apparsi in buone condizioni psicofisiche. Composti e consapevoli della situazione, hanno collaborato al meglio con: speleosub, Navy Seals e speleologi.

Avere mantenuto la speranza di salvarsi e un atteggiamento calmo e positivo è stato importante perché i ragazzi e l’allenatore conservassero energie fisiche e mentali e per prevenire il rischio di traumi psicologici, come il Disturbo PostTraumatico da Stress (PTSD). L’esposizione a un rischio mortale, infatti, può portare a sviluppare un disturbo psicologico caratterizzato da continui ricordi della situazione traumatica, intense emozioni di ansia e paura e costante tentativo di evitare tutto quello che ricorda il trauma.

Il contatto con le famiglie stempera la tensione psicologica

I soccorritori hanno permesso un contatto tra i ragazzi e le loro famiglie, aspetto psicologicamente molto importante.

I genitori hanno potuto vedere sui computer e sugli schermi tv che i loro figli stavano bene grazie a un sistema di comunicazione posizionato dagli speleologi lungo la grotta.

Tramite la catena di: Navy Seals, speleosub, speleologi e altri soccorritori, i ragazzi e l’allenatore hanno inviato messaggi scritti alle famiglie rassicurandole circa il proprio stato di salute e facendo piccole richieste. Tra queste, i ragazzi hanno chiesto di poter mangiare il proprio piatto preferito, quando fossero usciti dalla grotta, e di festeggiare il proprio compleanno.

Tali contatti, oltre a confortare emotivamente e psicologicamente genitori e figli li aiutava a prefigurarsi un ritorno agli affetti e ad una rassicurante quotidianità.

Il recupero dei ragazzi attraverso le gallerie allagate

Portare fuori dalla grotta allagata tredici persone prima dell’arrivo dell’imminente pioggia monsonica comportava molte problematiche tecniche e psicologiche.

Tra queste c’era il timore che i ragazzi, attraversando la zona sommersa dall’acqua, potessero avere crisi di panico. Si temeva che, passando senza saper nuotare nell’acqua fredda e senza alcuna visibilità, i ragazzi si agitassero e costituissero un ulteriore pericolo per se’ e per i soccorritori.

Gli spelosub infatti dovevano muoversi con estrema cautela per mantenere il contatto con la sagola, la corda che indicava la direzione per uscire dalla grotta, ed evitare che movimenti improvvisi spostassero l’erogatore d’aria.

Gestione dello stress psichico durante il soccorso

La capacità di gestire lo stress, la paura e l’ansia, evitando di cadere nel panico, sono stati fattori indispensabili per la riuscita di un intervento tanto complesso quanto rischioso.

In particolare, durante il raduno internazionale di speleologia del 2018, lo speleosub Chris Jewell, del British Cave Rescue Council, che ha partecipato al soccorso nella grotta thailandese ha riferito che, a livello psicologico, è stato fondamentale che ogni soccorritore mantenesse l’attenzione sulle proprie azioni, sforzandosi di ignorare quanto avveniva intorno alle operazioni di recupero.

Le famiglie dei ragazzi bloccati nella grotta, le autorità locali e internazionali, i giornalisti, i mass media in genere ed anche il pensiero stesso della difficoltà dell’impresa erano tutti fattori da lasciare fuori dalla propria testa. Era necessario concentrarsi esclusivamente sull’intervento in corso, sulla singola azione da compiere, sul lavoro da fare momento per momento. Perdere l’attenzione in momenti simili avrebbe potuto portare a commettere errori potenzialmente fatali per i ragazzi da soccorrere e per gli stessi soccorritori (tra cui: speleologi, speleosub, Navy Seals).

L’uscita dalla grotta

L’emozione delle famiglie, dei soccorritori e del mondo è stata enorme.

Raggiunta l’uscita, i ragazzi si sono dovuti riadattare alla luce, ad alimentarsi in modo regolare, agli stimoli ambientali e ad affrontare l’attenzione che il mondo stava dedicando loro.

Sono stati sottoposti a cure mediche e a valutazioni psicologiche volte a ridurre il rischio di danni psicologici, tra cui il Disturbo Post Traumatico da Stress, e sono stati per un breve periodo in ospedale.

Nonostante le settimane trascorse lontani dal mondo senza cibo, i ragazzi della squadra sono apparsi in buone condizioni psicofisiche.

Avere avuto la possibilità di parlare e di confrontarsi rispetto all’esperienza vissuta può averli aiutati ad elaborare il trauma della prigionia in grotta e il timore che potesse trasformarsi in una tragedia.

Speleosub, speleologi, Navy Seals: esperti o eroi?

Molti soccorritori hanno negato di sentirsi degli eroi, come i media li hanno definiti. Speleosub, speleologi e Navy Seals hanno precisato che avevano le abilità per intervenire e per soccorrere in quella situazione, competenze sviluppate in anni di appassionata attività speleologica e/o subacquea.

D’altra parte, erano tutti consapevoli dei rischi che avrebbero corso e della responsabilità che si stavano assumendo ed hanno accettato di farlo.

Probabilmente rimanere focalizzati sulle proprie competenze e sulla capacità di riuscire nell’impresa piuttosto che sul rischio e sui pericoli, di cui erano più che consapevoli, ha contribuito a far mantenere la lucidità psicologica necessaria a portare avanti il salvataggio nel migliore dei modi.

Crescita post traumatica

Occorre osservare che un evento traumatico può portare anche a cambiamenti psicologici positivi, fenomeno che viene definito ”crescita post traumatica”. Quando adeguatamente elaborata a livello psicologico, una drammatica e rischiosa esperienza vissuta, può aiutare ad sviluppare una diversa visione del mondo e attribuire un nuovo significato alla vita, comprendendone meglio il valore.

I ragazzi e l’allenatore hanno dichiarato, tra le altre cose, di avere imparato una lezione sulla generosità, di sentirsi più forti e di avere compreso meglio il valore degli affetti e della vita.

La disavventura nella grotta thailandese che ha mobilitato migliaia di persone tra cui: speleosub, Navy Seals e speleologi si è così trasformata in un’esperienza di crescita psicologica.